venerdì 16 dicembre 2016

UN NUOVO PAIO DI SCARPE

Capitolo 40


Vi sono mattine, come questa, in cui alzandomi dal letto vengo subito raggiunto da un profondo senso di nausea.
Mi sollevo e mi avvicino alla cucina per fare colazione, ma anche solo la vista del cibo acuisce ancora di più il mio malessere e non riesco neppure ad aprire la bocca per ingerire un goccio di latte.
Il mio padrone è già al lavoro, io inizierò tra poco a prendermi cura della casa e delle sue cose.
Insomma il mio compito di schiavo che si completa, oltre che nell'occuparmi della persona e del benessere del mio signore, anche per mezzo di uno scrupoloso e attento servizio tuttofare.
Così, svogliatamente, mi allontano dalla cucina, ma so già dove andrò a parare per trovare consolazione.
Ancora con lo stomaco sottosopra, mi avvicino a quella che ormai considero la mia seconda casa: ovvero la scarpiera del mio padrone.
Apro i cassetti e vengo subito investito da quell’odore virile di cuoio ben ingrassato, gomma, pellami trattati ad arte, ma anche sudore, umori maschili e fatica sportiva, che ormai fanno parte integrante del mio organismo.
Sono le essenze più vicine al mio padrone, quegli odori che si mescolano con il suo incedere, con le attività che svolge, con la vita che ogni giorno lo fa essere il mio senso esistenziale.
E con questi odori mi rianimo.
Il mio corpo trova una nuova vita, inspirando profondamente in modo da immergermi tutto alla ricerca di quella certezza a cui mi aggrappo e da cui traggo la forza necessaria per guardare avanti.
Osservo le scarpe del mio padrone e cerco il posto vacante, lo spazio in cui ieri sera erano adagiate quelle che oggi sono state prescelte per accompagnare i suoi piedi bellissimi in giro per il mondo.
Come le invidio dentro me!
Vorrei io stesso essere quelle scarpe che ora si piegano e si torcono, ed avvolgono amorevolmente al loro interno i piedi del mio signore.
Cerco e trovo il posto libero nella scarpiera e per esclusione, come se in testa avessi una sorta di archivio visivo, concludo che oggi il mio padrone stia indossando le sue Church’s nere a coda di rondine.
Scarpe bellissime e preziose di un cuoio lucido e lavorato a specchio in cui mi rifletto la sera, quando le pulisco, trovandomi persino bello, ma ciò soltanto perché la mia immagine riluce in esse, migliorandosi.
Accarezzo il vano ove poggiano quelle suole invisibili, quasi ricercando anche solo un piccolo granello di terra da portare alla bocca, da ingerire, per avere un se pur misero contatto col mio signore.
Tutte le calzature del mio re sono meravigliose: scarpe di marca, costose e con un loro carattere ben definito.
Persino le scarpe del mio padrone mi mettono in soggezione, tanto lo rappresentano, ma inevitabilmente ne sono attratto e schiavo.
Penso al mio signore e sospiro.
Penso a lui e lo amo.
Tocco le sue calzature e mi sento vuoto, proprio come queste scarpe che tristemente oggi sono chiuse in questo armadio.
Proprio come me, sigillato in questa casa ad attendere il rientro del mio signore.
Ricerco nella scarpiera le sue ciabatte, quelle che fino a poco prima erano sotto i suoi piedi.
Le stringo contro il mio viso, leccando disperatamente ove poggiano le sue dita, il tallone e la pianta, ricercando quel sudore che deve essersi depositato tra ieri ed oggi, poiché questo rito è quotidiano.
Il mio stomaco si apre solo ora e sento crescere un languore che per me
è diventato insaziabile: la fame del mio signore.
Un desiderio che è interno alle mie carni, che si fa strada in me e che ha necessità di nutrirsi di ciò che è il cibo di uno schiavo.
Confesso che questo alimento, indispensabile alla mia sopravvivenza, non è altro che il sudiciume che il mio signore calpesta sotto le suole delle sue scarpe.
Un cibo che non è alimento per nessuna specie vivente, ma lo è per me, che vivo e spero di poterne sempre reperire a sufficienza per il mio sostentamento.
Ecco perché ogni altra leccornia, ha perso qualsiasi interesse al mio palato, in confronto a ciò che posso trovare sotto le suole del mio padrone.
Mi rendo conto che questa affermazione sia sconvolgente e allucinante, ma tra un buon piatto di pasta e il sudiciume calpestato dal mio signore, non avrei nessun dubbio su cosa prediligere per il mio stomaco.
E credo che il mio signore sia consapevole di questa mia unica esigenza vitale.
A volte infatti al suo rientro, il mio padrone, guardando le sue scarpe, magari infangate o polverose, mi dice:”questa sera, schiavo, c'è parecchio cibo per te!”
E se la ride, forse immaginandomi con la bocca piena di quella melma che insozza le sue suole.
Ma io in quel momento invece già pregusto il mio pasto, che se è una punizione nella mente del mio re, è invece per il mio corpo la massima aspirazione.
Lascia le sue scarpe sporche ovunque mentre io stesso lo aiuto a indossare le ciabatte da casa o altre calzature laddove debba uscire nuovamente.
Oppure, quando mi consegna la sacca da calcio, per prima cosa ricerco sono le sue scarpette coi tacchetti.
Ed ogni volta, con mia grande letizia, le trovo avvolte da uno strato di fango e terra che certamente non andrà perduta inutilmente.
Ma sarà la mia cena, il mio pasto di schiavo, il mio premio, oppure nella testa del mio signore, la mia ennesima umiliazione.
Ma al momento ho per le mani le sue ciabatte, nulla di più.
Così mi devo accontentare di una magra colazione, leccandone le suole, ove solamente un po' di polvere e qualche sassolino mi daranno la forza oggi per restare in piedi.
Ma di colpo, la porta alle mie spalle, spalancata con voluta violenza, mi schianta contro il mobile della scarpiera, spalmando il mio viso contro le ciabatte del mio padrone.
È lui dietro di me e con tono seccato mi dice:”schiavo, ecco dove ti eri cacciato!”
“Dovevo immaginarmelo!”
Ed io:”padrone, ma come mai a casa oggi?”
Lui perentorio:”ho preso un giorno di ferie, e oggi intendo fare spese, mi è proprio venuta voglia di comprare un nuovo paio di scarpe.”
E lo dice con lo stesso tono di quando, con i suoi amici, parla di mollare una ragazza per una, a suo dire più “fica”.
Per il mio padrone, tutto ha il medesimo peso, all'infuori di se stesso ovviamente.
Una persona, un oggetto, un essere vivente, un sasso, tutto è uguale nella sua mente e ovviamente non vale nulla.
Ed io dove mi colloco in questa scala di valori?
Logicamente all'ultimo posto, sotto le suole delle sue scarpe.
Dopo il sudiciume di cui mi nutro.
“Schiavo!” richiamando la mia attenzione:”oggi andiamo in centro da Gianni, ha un negozio di calzature che ti farà impazzire.”
“E tu sarai il mio valletto personale nell'aiutarmi a scegliere un nuovo paio di scarpe degno del tuo padrone.”
“Signore”, balbetto,”non so come ringraziarla.”
E lui sorridendo:”sono certo, schiavo, che troverai il modo!”
...

Arriviamo in centro nel pomeriggio e subito il mio signore bellissimo si dirige verso il negozio di “Borghetti”, la boutique di scarpe più in vista della città.
Non vuole perdere tempo il mio padrone, oppure, più realisticamente, non gradisce farsi vedere in giro con un essere inferiore quale io sono.
E come biasimarlo...
Lo osservo dalla mia piccolezza e mi domando perché abbia voluto portarmi con se.
Lui è così bello, forte, sicuro e possente, mentre io, ecco... lasciamo perdere...
Entriamo nel negozio e subito osservo venire incontro al mio padrone il proprietario che, con un saluto caloroso e una stretta di mano lo accoglie dicendo:”finalmente posso rivedere il mio miglior cliente.”
E il mio signore:”Gianni, sei sempre il solito adulatore. Non cambierai mai, anche se forse è vero, ho talmente tante scarpe tue che potrei farti concorrenza!”
“Ma d'altronde il tuo è il miglior negozio della città e per i miei piedi, voglio solo il meglio!”
Entrambi ridono di gusto.
Poi il proprietario mi squadra dall'alto in basso con fare schifato, come a chiedersi: ma cosa è questa cosa?
Il mio padrone intuisce il suo disgusto e lo rassicura:”Gianni porta pazienza, è solo il mio schiavo personale non farci caso.”
“Non vale nulla, anche se questa volta, mi piacerebbe che fosse lui a servirmi.”
“Dagli uno dei tuoi grembiuli neri e qualche dritta su cosa deve fare.”
Io intanto sono con la testa tra le nuvole.
Il negozio è davvero una meravigliosa raccolta dei capi più belli di calzature maschili d'alta moda.
Church's shoes, Louis vuitton, Cesare Paciotti, Alessandro Dell'acqua, Tod's, Gucci, Prada.
Insomma tutto ciò che ho sempre sognato e non ho mai potuto vedere tanto da vicino.
Il negozio dei balocchi per uno schiavo che non ha neppure il senso di esistere.
Scarpe che non avrò mai il diritto di indossare, sono un servo, ma che desidererei almeno poter lucidare con la mia lingua, una volta nella vita.
In questo momento sono grato con tutte le mie fibre al mio signore.
Anche questa esperienza meravigliosa è merito suo e ne sto godendo grazie alla sua generosità.
Mentre il mio padrone sceglie con Gianni i modelli da provare, sedendosi poi ad attendere, sprofondando in una poltrona di cuoio anticato, il proprietario mi prende per la collottola, quasi fissi un cane, e mi trascina sul retro del negozio.
Mi dice severo:”faccio questo solo perché sono molto amico del tuo proprietario!”
“Sappi che tu e quelli come te mi fanno ribrezzo e per conto mio ti schiaccerei come uno scarafaggio sotto le suole delle mie scarpe!”
Io remissivo:”comprendo signore! Le chiedo perdono per ciò che sono!”
Lui:”taci merda! Prendi questo grembiule e legatelo in vita.”
“Poi porta questa pila di scatole al tuo padrone.”
“Sono i modelli che ha scelto.”
“Inginocchiati ai suoi piedi e aspetta!”
Ubbidisco e raggiungo il padrone.
Lui ironico mi osserva:”schiavo, ma come sei bellino vestito da calzolaio.”
“Non trovi Gianni?”
Non arriva risposta, ma solo un segno di assenso col capo.
Nel frattempo inizio ad aprire le confezioni ed a mostrare i modelli al mio padrone, che ovviamente li vuole calzare subito: è impaziente.
Lui si alza in piedi sopra di me che, come uno straccio, cerco di aiutarlo.
E consumo mani e ginocchia gattonando attorno a lui per cambiare i modelli, infilandoli e sfilandoli dai suoi piedi meravigliosi.
Nel frattempo entrano in negozio altri clienti, una giovane coppia e il proprietario ci lascia per andare da loro.
Ormai padroneggio abbastanza bene la materia.
Il mio signore è bellissimo ed ogni calzature gli dona alla perfezione.
Impossibile non apprezzarlo.
Io poi ne sono estasiato e lo ammiro.
Lui è ben consapevole di tutto questo e gioca con la mia miserevole vita, qualche volta calpestando le mie dita, altre volte con piccoli calci, oppure avvicinando le scarpe al mio viso per vedere se si intonano col colore della mia pelle, visto che spesso dovrò fare da poggiapiedi.
Il mio padrone diventa sempre più perentorio e mi umilia pesantemente arrivando a calpestare il mio corpo per provare la bontà delle scarpe, camminando sulla mia schiena.
Tutto ciò davanti al proprietario, alla giovane coppia di clienti ed alcuni passanti che osservano la scena dalla vetrina con morbosa curiosità.
Il mio padrone è sicuro di sé, non si vergogna di usarmi come una pezza da piedi, anche perché è ciò che sono.
Io intanto ho perso il senso del pudore e lascio che il mio signore faccia di me ciò che desidera.
Lo amo e sono disposto a tutto per lui e per farlo felice.
La mia schiena è a pezzi, ma non rinuncio ad essere calpestato e umiliato a terra.
Fino a quando il mio padrone si sofferma, seduto in poltrona, ad osservare meglio un paio sneaker di Yves Saint Laurent con borchie e fibbie.
Io sono a terra davanti a lui, come una pelle di vacca, col viso a pochi centimetri dai suoi piedi.
E attendo.
Mi comanda:”schiavo, fammele riprovare!”
Per aiutarlo non mi risparmio di certo e lascio che le punti contro la mia bocca per poterle indossare comodamente.
Poi ancora una passeggiata sulla mia schiena per concludere l'acquisto.
“Gianni”, esordisce,”anche questa volta le tue scarpe sono davvero inimitabili.”
“E questa volta non ti ho fatto neppure lavorare!”
Senza bisogno di nessuno comando, intanto rimetto in ordine le altre scarpe sparse attorno, restando sempre in ginocchio.
Il proprietario intanto parla con la giovane coppia di clienti, ma dopo poco li sento dire:”vorremmo anche noi essere serviti dal suo garzone.”
Il mio padrone e il proprietario all'unisono:”e perché no!?”
Così entrambi ora si godono la scena, mentre il ragazzo, un gran pezzo d'uomo,sicuramente giocatore di rugby, si siede in poltrona al posto di comando.
La sua ragazza cinguetta sul bracciolo, mentre lui già mi preme le sue sneakers sudice contro la bocca perché io gliele tolga.
Tutti si godono la scena piacevolmente eccitati da questa perversione inattesa.
Io ormai sono come un tappetino sotto i piedi enormi del ragazzo che, per divertire la sua compagna e farsi ancora più maschio, mi sta facendo letteralmente a pezzi.
Ma anche questo è il destino di uno schiavo.
Il mio padrone e il proprietario, dal bancone, se la ridono di gusto, mentre tra loro:”sai, forse dovresti mandarmelo in negozio una volta ogni tanto.”
“Penso che incrementerei parecchio le vendite!”
E il mio padrone:”si, hai ragione Gianni, vedo che il mio schiavo ci sa fare con i clienti.”




Schiavo Luca

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