lunedì 12 dicembre 2016

SOTTO LA SCRIVANIA

Capitolo 37


Sto correndo per la strada a perdifiato per raggiungere l'ufficio dove lavora il mio signore bellissimo.
Un'ora fa infatti una telefonata mi ha raggiunto a casa mentre stavo stirando le sue camicie.
Lui, furioso, dall'altro capo della cornetta mi ordina:”schiavo, ho del lavoro da finire in ufficio, non torno per pranzo.”
“Vedi di darti da fare, preparami qualcosa da mangiare e precipitati qui!”
E riallaccia senza un saluto, nulla.
Ma d'altronde è giusto così, cosa posso aspettarmi, non sono altro che un servo.
Così corro e mi scapicollo per far presto e arrivare da lui il prima possibile, perché sappia che il suo benessere è la mia priorità.
Arrivo davanti al palazzo della banca, ove il mio signore svolge un'importante mansione dirigenziale, e già mi sento schiacciato dalla mole dell'edificio.
Io, piccolo schiavo, nullità delle nullità, davanti ad un colosso del genere e circondato da uomini in giacca e cravatta ben consci del loro ruolo e della loro importanza nella società a cui appartengono.
E io cosa sono?
Neanche una cacca di cane in confronto a tanta sicurezza così manifesta.
Ma prendo fiato e mi faccio coraggio.
Entro nella grande porta girevole in cristallo col mio sacchetto del pranzo, per portare a termine la mia missione.
E questo pensiero mi da forza e mi rammenta che la mia esistenza è al servizio del mio signore.
Anche Il mio ruolo è ben definito e chiaro.
Non devo confrontarmi con altri uomini o col mio principe.
Sarebbe una bestemmia solo pensarlo.
Io sono fatto di una materia diversa.
Io sono uno schiavo!
E questa certezza mi porta a sfoderare tutto il mio coraggio rivolgendomi alle ragazze dell'accettazione per chiedere informazioni su come raggiungere l'ufficio del mio padrone.
Nel parlare con loro mi sento ancora più inadeguato e minuscolo.
Mi scrutano dall'alto della postazione e arcigne mi fanno il “quarto grado” prima di concedermi le indicazioni che invoco.
Mi allontano e le sento bisbigliare e ridere, quasi sapessero di me, come se avessi scritto in fronte la parola: SCHIAVO!
Dopo mille peripezie tra ascensori e corridoi, raggiungo l'ufficio del mio signore e il solo vederlo attraverso i vetri, mi ridona la vita.
Prendo un respiro profondo e busso alla porta, anche se ho già visto che è solo in ufficio.
La sua voce è melodia per le mie orecchie:”Entra!”
Anche lui mi ha avvisato.
“Finalmente sei arrivato, volevi farmi morire di fame?” Mi aggredisce.
Ed io:”padrone mi perdoni, ho fatto prima che ho potuto. Mi creda.”

E senza ulteriori indugi mi strappa di mano il sacchetto del pranzo e inizia a mangiare senza troppi complimenti.
Mi ordina:”siediti!”
Così, mi avvicino a lui e mi accomodo alla meglio per terra davanti ai suoi piedi, come sempre.
Contemporaneamente un calcio potente mi stampa sul viso la suola dei suoi mocassini Prada mentre la sua voce mi ferisce ancora di più nell'orgoglio:”ma sei deficiente!”
“Vuoi che ci vedano tutti, cazzo?!?”
“Ti rendi conto che non siano a casa, ma nel mio ufficio!”
“Io credo davvero che tu non abbia il cervello in quella testa di cazzo!”
Io sommessamente:”mi perdoni signore, non avevo pensato.”
Lui:”ecco vedi il tuo problema: tu vuoi pensare, ma anche se lo fai, non sei in grado!”
Ancora:”ma sparisci, merda che non sei altro! Vattene!”
Mestamente mi accomiato dal mio signore, sapendo di aver sbagliato per l'ennesima volta.
Sono sulla porta pronto per uscire, quando la sua voce mi richiama all'ordine:”schiavo, vieni qui!”
Scodinzolo da lui e attendo.
Lui ha già finito il pranzo.
È davvero vorace in tutto: nel mangiare, nel vivere, nel sesso, nell'usare il suo schiavo.
Il mio padrone è un uomo che vive consumando ciò che lo circonda ed impossessandosi di quello che brama con avidità.
Ma lui è un padrone, e ciò fa parte del suo fascino.
Ed io sono orgoglioso di essere parte di quel ciclo vitale che è destinato a perire per alimentare questo grande predatore.
Mi sento come un piccolo pesce di fronte alle file di denti aguzzi di uno squalo.
E sono certo che prima o poi io stesso sarò il cibo del mio padrone.
Ma queste considerazioni filosofiche mi portano lontano dal mio bene.
“Guarda!” Comanda il mio signore, mostrandomi sul video del suo portatile un video di sesso tra due bellissimi uomini.
Uno sta penetrando l'altro che giace nudo sotto di lui con solamente delle bellissime scarpe da ginnastica ai piedi.
Il mio padrone:”schiavo ti stai eccitando? Lo sai che non ti è concesso provare piacere se io non te lo permetto.”
Rispondo:”signore, lo so bene, ho imparato la lezione a mie spese.”
“Anzi, grazie signore per avermi illuminato.”
Il mio padrone è ironico :”ma prego, schiavo, lo so che con te bisogna avere pazienza...ma anche pugno di ferro.”
E quello l'ho sperimentato in prima persona.
La mano del mio signore intanto sta toccandosi in mezzo alle gambe e già si intravede un grosso bozzo, che sotto i pantaloni preme per poter esplodere in tutta la sua potenza.
Il mio padrone si scosta leggermente e mi ordina severo:”infilati sotto la mia scrivania, svelto!”
Ubbidisco e mi tuffo in uno spazio ove non capisco come sia riuscito a comprimere il mio corpo.
Ma ora, l'unica cosa che importa è la mia bocca.
Il resto del mio essere non serve.
Il mio padrone apre la patta dei pantaloni e vedo uscire il suo membro già abbondantemente eccitato.
Forse è la situazione, forse il porno in ufficio, oppure io che sono nascosto in quella posizione e pronto a compiere uno degli atti che rappresenta il sogno proibito ed irraggiungibile di qualsiasi impiegato, sta di fatto che il pene del mio padrone è molto più grosso e duro del solito.
Ed io posso constatarlo con sicurezza, poiché lo conosco molto da vicino.
“Succhia schiavo! Voglio venire qui in ufficio! Veloce!”
Questa volta devo mettere da parte tutti i miei trucchetti per eccitarlo e per portarlo ad un piacere superiore.
Oggi serve solo sborrare e velocemente, prima di fare qualche casino.
Così ingoio il suo grande cazzo in bocca e lo succhio in punta dove è più sensibile.
Alzo gli occhi verso il suo viso e vedo che il mio padrone è tutto rapito dal porno che stava osservando e di cui intuisco i versi ed i gemiti di piacere dei due attori.
“Schiavo! Succhia! Succhia!Cazzo!”
E io continuo senza nemmeno più sentire se la mia bocca è stanca.
Ciò è irrilevante.
Ad un tratto bussano alla porta ed entra qualcuno!
Cazzo! Cazzo! Cazzo! Penso, perché non posso parlare...
Nel mentre il mio padrone scivola con la sua poltrona ancor più sotto la scrivania ed io mi ritrovo completamente spremuto in un angolo ove non so più dove ho dimenticato le gambe, le braccia, il busto, che per ora è accartocciato sotto le ruote anteriori della sua poltrona dirigenziale.
Solo la mia testa è ancora al suo posto, poiché premuta dalle mani possenti del mio padrone contro il pube e la mia bocca che fermamente ha mantenuto il suo ospite ben protetto.
Sento il mio padrone:”Max, sei tu! Ma non eri a pranzo?”
Il collega:”no anche io ho saltato per colpa di quella maledetta pratica di rimborso.”
Sento che il mio padrone è sollevato mentre dice:”Max, forse questo inconveniente non è stato una perdita di tempo.”

Il collega:”cosa intendi dire?”
Il mio padrone è serio:”Max, ti ricordi di quella volta in cui ti raccontai la storia di quella famosa birra artigianale che ho fatto assaggiare ad un mio amico?”
Il collega:”certo che mi ricordo quella tua sbruffonata clamorosa, come dimenticarla?”
Il mio padrone:”ecco vedi, oggi sono convinto che ti dovrai ricredere di quello che stai dicendo.”
E mentre io mi sento un tonno in scatola, praticamente costretto in uno spazio inesistente per lasciare più agio al mio padrone, sento aprirsi un cassetto e il mio signore che dice al collega:”Max, predi questo boccale e vai a fare il pieno di quella birra di cui ti parlavo e poi torna qui.”
Il silenzio mi fa comprendere che il collega è stupefatto, ma dopo poco chiude la porta e se ne va.
Non capisco, cosa può significare?
Vorrei chiedere spiegazioni al mio signore, ma lui mi anticipa con un colpo sul capo dicendo severamente:”succhia schiavo e fammi sborrare!”
In pochi istanti ormai il gioco è fatto e il mio padrone, in un sommesso lamento di piacere, mi riempie la bocca con generosi fiotti di sperma caldo e avvolgente.
Poi comanda:”ingoia subito! Pulisciti! E siediti sul divanetto.”
Nel frattempo ecco ritornare il collega che un poco spaesato non sa se deve entrare, vedendomi in ufficio.
Ha in mano un boccale da birra bello grande pieno fino all'orlo.
E penso ingenuamente:”ha fatto bene il mio signore ad ordinarne un'altra, quella che gli ho portato in effetti era piccola per la sua sete, ma era la sola rimasta in casa.
Minimo me la farà pagare cara questa disattenzione.
Il mio signore alza la voce per farsi sentire dal collega:”entra, entra, Max, tranquillo, siamo tra amici!”
“Max, consegna pure il boccale a Luca!”
E Max:”ma, ecco, vedi...”
Il mio padrone:”Max, ora vedrai se mentivo o ero serio quel giorno in cui ti parlavo del mio schiavo.”
Rivolto a me:”Luca, fai vedere al mio amico come sei assetato.”
E sogghigna il mio padrone, già pregustando la mia umiliazione.
“Su, su, su, non fare complimenti, è tutta per te!”
Lo sguardo del mio signore è severo, mentre quello del suo collega molto preoccupato.
Accosto le mie labbra al boccale che si ricoprono di schiuma.
Ma non è birra, sono le urine, riserva speciale di Max.

Ora tutto mi è chiaro.
Il mio padrone imperante:”Bevi! Schiavo!”
A quel comando il mio corpo risponde ubbidiente e lentamente e senza sosta mi scolo tutto il boccale di piscia.
Mi resta in bocca un sapore differente da quello delle urine del mio signore.
Più denso, acre, salino e nauseabondo.
Ma anche questa è andata e ho onorato il comando del mio signore.
Mi sento vittima di un raggiro, ma anche Max è abbastanza sconvolto per lo spettacolo a cui ha appena assistito e non penso fosse complice di questo atto dimostrativo del mio signore.
Il mio padrone con voce delicata e allusiva:“vedi Max, perché mettere in dubbio la mia parola?”
Il collega è ammutolito, esterrefatto e quasi per scusarsi si rivolge a me:”mi dispiace, io non potevo sapere. Come ti senti?”
Azzardo a rispondere, ma vengo zittito dal padrone:”taci, schiavo!”
Chino il capo a terra, sono stato umiliato abbastanza.
Il mio padrone:”Max, su sorridi, non è successo niente.”
“Guarda che il mio schiavo è abituato a bere il mio piscio, ormai da mesi e sta benissimo.”
“Anzi, per lui è un premio.”
Max:”ne sei proprio sicuro?”
Il mio padrone rivolto a me:”schiavo, diglielo anche tu!”
Io:”certo signore, è un privilegio bere le sue urine e quelle dei suoi amici.”
Il mio tono di voce è più sul rassegnato che sul convincente, ma tanto basta a riportare le cose nella norma.
Max al mio padrone:”mi hai convinto. Cavolo che fortuna avere uno schiavo. Che figata!”

E il mio padrone sicuro di sé:”puoi dirlo forte!”
Max:”a proposito, stasera ci troviamo dal Toma per la partita.”
“Ti va di unirti a noi?”
“Ci sarà un sacco da bere e se porti il tuo schiavo, sono sicuro che ci sarà da bere anche per lui.”
“Ok contaci”, dice il mio padrone, mentre con una pacca sulla spalla, mi fa comprendere che la mia serata sarà lunga e laboriosa.

Ringrazia Max dell'invito”, mi ordina il padrone.
Io:”grazie mille signore. Sarà un piacere servirvi”



Schiavo Luca

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