giovedì 8 dicembre 2016

PARAMECIO

Capitolo 33


È sera e siamo sul divano.
O meglio...
Il mio padrone è comodamente sdraiato sul sofà, mentre io sono in terra, seduto davanti al pouf ove poggiano delicatamente accavallati i piedi del mio signore.
Il mio viso è a pochi centimetri e le mie narici e le mie labbra quasi li sfiorano.
Il mio padrone è ormai abituato a questa scena ovvia e non ci fa nemmeno caso.
Chiunque, vedendo la mia umiliazione, si porrebbe delle domande o quanto meno vorrebbe capire cosa stia accadendo.
Ma il mio signore non si cura di me, anzi è il contrario, proprio perché sono io che devo prendermi cura dei suoi piedi.
“Inizia il tuo lavoro, schiavo!” Mi comanda.
Ecco il segnale che attendevo.
E la mia lingua, ormai ammaestrata a dovere, si muove leccando i piedi del mio signore.
È un lavoro lento e delicato, poiché le falangi del mio re sono lievi e fragili.
La mia lingua si deve fare sottile sottile per entrare tra di esse per rimuovere il sudore e la sporcizia che si è accumulata durante la giornata.
In estate poi, tra ciabatte, sabot, infradito e scarpe indossate senza calze, i piedi del mio signore sono esposti 24 ore su 24 con conseguente accumulo di molto più ristagno da eliminare.
Ed è proprio da qui che comincia il mio lavoro.
Confesso di essere fiero di questo incarico, anche perché nel tempo, ho avuto la possibilità di vedere i risultati evidenti di questo mio servizio.
I suoi piedi sono più puliti, freschi, luminosi e sani.
D'altronde si sa, la saliva è un potente disinfettante per cui il mio trattamento serale porta i suoi frutti.
Ed io sono felice di essere il fautore di questo benessere per il mio signore.
Il mio padrone non mi guarda, “chatta” al cellulare e solo raramente mi sollecita in modo che la mia lingua insista più in certi punti, piuttosto di altri, ove magari ha un particolare prurito.
Io mi adopero subito per servirlo e per alleviare il suo fastidio.
Fortunatamente sono un grande produttore di saliva, per cui le mie lappate sotto le sue piante dei piedi sono generose e lavano via ogni impurità.
Passo più volte la mia lingua che si allarga e si adatta alle pieghe della pelle chiara del mio padrone.
Mentre lavoro, il mio signore mi parla:”il tuo addestratore dice di comunicarti che tra due settimane, dovremo recarci da lui perché vuole sapere come ti stai comportando e per correggere alcuni difettucci che gli ho fatto notare del tuo comportamento.”
Ed io esterrefatto:”ma signore, cosa ho fatto che non è stato di suo gradimento?”
“Perché non mi ha detto subito i miei errori, perché vi potessi porre rimedio, invece di farle perdere del tempo?”
Sono nel panico poiché conosco bene i metodi del mio addestratore e soprattutto sento sulla mia pelle le cicatrici che sono rimaste a fronte dei suoi insegnamenti passati.
Lezioni a cui non è possibile presentarsi impreparati.
Il mio padrone è rilassato alla grande e mi snocciola le dita dei piedi sulle labbra:”schiavo, schiavo, stai tranquillo, il tuo addestratore mi sembra una persona così comprensiva.”
“Così amabile...non trovi?”
“Mi ha detto semplicemente che ti dovrò lasciare da lui a Parma per un pomeriggio.”
“Voi due soli, mentre io e il suo compagno, andremo a farci un giro in città.”
“Pensa schiavo, non sono neppure geloso!!!”
“Lasciarti un pomeriggio con quel bellissimo uomo del tuo addestratore!!!”
“Minimo ne sarai perdutamente innamorato...Mi sbaglio?”
“Mio signore”, oso con un filo di voce,“io sono innamorato solo di lei e per lei vivo!”
“Non ho altro.”
“Ah, già...dimenticavo...”
E ride di gusto il mio signore.
Ride della mia inquietudine.
Ride perché sa che non sarà una passeggiata, non sarà un corso di aggiornamento.
Ride perché sa bene che il mio addestratore mi farà a pezzi con le sue mani, per poi riconsegnarmi a lui come nuovo.
Ride perché è lui stesso che gli ha chiesto di darmi una lezione severa e brutale.
Ho commesso degli errori in questo ultimo mese, errori che vanno corretti e puniti.
E questo significa botte e sofferenza che il mio addestratore sa infliggere senza lasciare segni esteriori, ma dilaniando le carni da dentro.
Il mio signore intanto procede col suo cellulare e mi dice:”schiavo, il tuo addestratore, chiede se ti ricordi la vostra parola d'ordine.”
“Cosa significa?”
“Dice che sarebbe sgradevole questa tua dimenticanza!”
“Molto sgradevole!”
Tra me e me: ed ora cosa dico al mio padrone?
Come posso dirgli una verità tanto sconvolgente?
La verità secondo cui la nostra parola segreta serviva a implorare che le torture che stavo subendo, si fermassero poiché stavano superando un limite di dolore intollerabile?
La verità per cui, quando le ferite che mi venivano aperte nella carne a forza di frustate, sanguinando, non arrivassero a macchiare il suo tappeto, e avvisando con la nostra parola ciò non sarebbe accaduto?
Ride intanto il mio signore bellissimo, ignaro del supplizio che ho vissuto per essere consegnato nelle sue mani, capace di servirlo e ubbidire ciecamente.
E non sa che dietro il volto angelico del mio addestratore, in verità c'è un carnefice e un sadico.
Non sa che poco lontano dalla sua abitazione, nel fondo del giardino, nascosto dal canneto, c'è un capanno chiuso a chiave dove l'addestratore mi ha tenuto prigioniero in gabbia per tre mesi in mezzo ai miei escrementi e col terrore ogni volta che lo vedevo.
Ma è giusto che il mio signore bellissimo non sappia che esiste un mondo così terribile, dove è possibile distruggere una mente umana e ricostruirla, col solo scopo di forgiarne uno schiavo.
Il mio padrone ignora tutto questo e si stupisce quando mi vede capace di compiere delle bassezze tanto spregevoli.
Ma non sa cosa ho vissuto, e non deve saperlo.
Non sa cosa ho nella testa ora e chi ero prima di subire questa trasformazione.
Uno schiaffo mi infuoca il viso e il mio signore mi aggredisce:”merda di uno schiavo, ma ti sei rincretinito?”
“Sembra che tu abbia visto un fantasma?”
“Vuoi darti da fare con i miei piedi? Non ho mica tempo da perdere.
Lavora!!!”
“Ma guarda un po sto scemo...”Bofonchia il mio signore.
Mi ridesto da questo incubo e riprendo a massaggiare i suoi piedi con una crema che li mantiene belli morbidi e setosi.
Un mio recente regalo per ringraziare il mio padrone dell'onore di poterlo servire.
Lui indifferente ritorna al suo cellulare.
Insiste:”allora?”
“Cosa è questa storia della parola segreta?”
“Signore”, oso,”non era nulla, era solo la parola d'ordine che usavamo quando rientravo dalle commissioni.”
“Non avevo infatti le chiavi di casa del mio addestratore.”
E il mio padrone, infierendo ancora nel terribile mondo oscuro dei miei ricordi:”dunque quale sarebbe questa parola misteriosa?”
“Confessala al tuo signore! Ora!”
“Te lo ordino!”
Non parlo per la vergogna che provo.
Il mio padrone perde la pazienza e mi strattona per il collo della camicia come se fossi una bambola di pezza.
Sottovoce al mio padrone:”paramecio.”
“Scusa, schiavo, non ho capito?”
Alzando un poco la voce:
“PARAMECIO, signore.”
“E che cazzo sarebbe sto paramecio, schiavo?”
Col viso e lo sguardo a terra per la vergogna affermo:”sono io mio padrone.”
E lui stupito:”come sei tu?”
Continuo:”il paramecio è un organismo primitivo e monocellulare, come un'ameba.”
“Un niente mio signore, una nullità!”
Ed io cosa sono, se non un essere che non vale nulla?
“Anche lei spesso lo dice che non valgo niente e non sono niente!”
E il mio padrone scoppia in una risata incontenibile esclamando:”PARAMECIO !!!”
“Ma sai schiavo che mi piace!”
“Da oggi sarai il mio primo paramecio, così facciamo contento anche il tuo addestratore.”
E penso: si lo faremo contento... ma solo quando potrà mettermi le mani addosso e farmi a pezzi.
“Ti vedo pensieroso, schiavo”, dice il mio signore.
“No”, lo rassicuro,“non si preoccupi per me, è tutto a posto, non merito tanta premura.”
“È vero, schiavo, sei soltanto un paramecio!!!”
Ride il mio padrone!!!




Schiavo Luca

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