lunedì 14 novembre 2016

LO SCHIAVO PESCIOLINO

Capitolo 18



Buongiorno mio principe, mio signore, mio amore a cui dedico questo saluto e la mia vita tutta.
Il mattino lontano dal mio signore è come risvegliarsi nel più terribile dei deserti ove neppure un filo di acqua o una piccola ombra possa difendermi.
Il mio padrone è il mio scudo, il mio riparo e il mio nutrimento.
Senza il mio padrone, il suo schiavo perde qualsiasi significato ed utilità, ritornando ad essere quella polvere da cui lei stesso mi ha fatto emergere.
Ma non voglio stancare il mio re con queste tristi parole, ma renderlo orgoglioso e grande.
Onorare il mio padrone con le mie parole, perché sappia quanto lo ammiro e lo amo.

Quanto lei sia importante ed io piccolo, minuto, insignificante davanti a lei.
Come il mio signore prepotentemente vive la sua vita da uomo, mente il suo schiavetto sopravvive malamente trascinandosi ai suoi piedi.
E mi intenerisce il mio padrone quando, vedendomi la sera con la mia lingua a detergere i suoi piedi, mi dice:”ma non sei ancora stanco del mio sudore?”
Amo il mio signore bellissimo quando ovviamente non capisce il mio stato di servo.
Lo amo ancora di più perché mi fa comprendere quanto sia regale il suo pensiero da non concepire il mio gesto di sottomissione.
E sono davanti ai suoi piedi, a pochi millimetri dalla mia bocca.
Mi siedo a terra e vicini al mio viso, sollevati sopra il pouf e posizionati proprio all'altezza della mia lingua.
Sento il suo odore di maschio che entra nelle mie narici.
È lieve, delicato, mi eccita.
I piedi del mio principe non puzzano mai, anche dopo giorni.
Al massimo si sente il profumo della sua pelle o delle scarpe che ha calzato durante il giorno.
Un aroma che mi riempie il cuore e mi fa sentire vivo.
Io li bacio, li adoro, li sfioro con le mie mani.
Me ne prendo cura con amore e non distolgo mai lo sguardo da essi.
Certe volte però mi perdo a osservare il suo viso, mio principe, ma col solo scopo di vedere il suo compiacimento nel vedermi sottomesso.
Poi, il mio posto è ai suoi piedi.
Non altrove, non avrei senso!
La mia lingua è avida, lo confesso.
La mia lingua si fa sottile per scivolare delicatamente tra un dito e l'altro, dove so che il mio signore gradisce il mio fresco ristoro.
E insisto in quei punti ove sento che si è depositato dello sporco o la sua pelle è secca, per rimuoverla.
Per liberare il suo piede da ciò che è inadatto e indegno.
E mi cibo di questi scarti, di queste piccole pelli del mio signore che sono il mio vizio serale.
Mi sento un po come quei piccoli pesci nelle vasche costretti per sopravvivere a cibarsi della pelle morta dei piedi di quei turisti che per gioco vogliono provare questa insolita esperienza.
Ma se per questi uomini è un piacevole divertimento, un solletico sotto i piedi, per i disperati “pescetti” è la loro vita stessa ad essere in gioco.
Chiusi per sempre in quella vasca a ingoiare la sporcizia dei piedi che in essi verranno immersi.
Ed io cosa sono di diverso per il mio principe?
Non sono forse anche io un piccolo pesciolino che si ciba della pelle e del sudore dei suoi piedi?
Lei, mio re, siede comodamente sul suo divano e immerge i suoi piedi nella mia più delicata premura.
Lei è rilassato e disteso, mentre il suo schiavo si contorce per arrivare con la sua lingua anche in punti difficili da raggiungere.
Ma è il compito dello schiavo questo, non certo un suo problema agevolare il mio lavoro.
Io pulisco i suoi piedi ogni sera e sono felice di sapere che da quando ho cominciato questo servizio lei non ha più reputano necessario lavarli diversamente.
Questo mi onora mio signore, e mi dona una gioia immensa.
Sono io il lavacro del mio padrone.
Grazie mio signore del compito di cui mi reputa degno.




Schiavo Luca

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