Capitolo
40
Vi
sono mattine, come questa, in cui alzandomi dal letto vengo subito
raggiunto da un profondo senso di nausea.
Mi sollevo e mi avvicino
alla cucina per fare colazione, ma anche solo la vista del cibo
acuisce ancora di più il mio malessere e non riesco neppure ad
aprire la bocca per ingerire un goccio di latte.
Il mio padrone è
già al lavoro, io inizierò tra poco a prendermi cura della casa e
delle sue cose.
Insomma il mio compito di schiavo che si completa,
oltre che nell'occuparmi della persona e del benessere del mio
signore, anche per mezzo di uno scrupoloso e attento servizio
tuttofare.
Così, svogliatamente, mi allontano dalla cucina, ma so
già dove andrò a parare per trovare consolazione.
Ancora con lo
stomaco sottosopra, mi avvicino a quella che ormai considero la mia
seconda casa: ovvero la scarpiera del mio padrone.
Apro i cassetti
e vengo subito investito da quell’odore virile di cuoio ben
ingrassato, gomma, pellami trattati ad arte, ma anche sudore, umori
maschili e fatica sportiva, che ormai fanno parte integrante del mio
organismo.
Sono le essenze più vicine al mio padrone, quegli
odori che si mescolano con il suo incedere, con le attività che
svolge, con la vita che ogni giorno lo fa essere il mio senso
esistenziale.
E con questi odori mi rianimo.
Il mio corpo trova
una nuova vita, inspirando profondamente in modo da immergermi tutto
alla ricerca di quella certezza a cui mi aggrappo e da cui traggo la
forza necessaria per guardare avanti.
Osservo le scarpe del mio
padrone e cerco il posto vacante, lo spazio in cui ieri sera erano
adagiate quelle che oggi sono state prescelte per accompagnare i suoi
piedi bellissimi in giro per il mondo.
Come le invidio dentro
me!
Vorrei io stesso essere quelle scarpe che ora si piegano e si
torcono, ed avvolgono amorevolmente al loro interno i piedi del mio
signore.
Cerco e trovo il posto libero nella scarpiera e per
esclusione, come se in testa avessi una sorta di archivio visivo,
concludo che oggi il mio padrone stia indossando le sue Church’s
nere a coda di rondine.
Scarpe bellissime e preziose di un cuoio
lucido e lavorato a specchio in cui mi rifletto la sera, quando le
pulisco, trovandomi persino bello, ma ciò soltanto perché la mia
immagine riluce in esse, migliorandosi.
Accarezzo il vano ove
poggiano quelle suole invisibili, quasi ricercando anche solo un
piccolo granello di terra da portare alla bocca, da ingerire, per
avere un se pur misero contatto col mio signore.
Tutte le
calzature del mio re sono meravigliose: scarpe di marca, costose e
con un loro carattere ben definito.
Persino le scarpe del mio
padrone mi mettono in soggezione, tanto lo rappresentano, ma
inevitabilmente ne sono attratto e schiavo.
Penso al mio signore e
sospiro.
Penso a lui e lo amo.
Tocco le sue calzature e mi
sento vuoto, proprio come queste scarpe che tristemente oggi sono
chiuse in questo armadio.
Proprio come me, sigillato in questa
casa ad attendere il rientro del mio signore.
Ricerco nella
scarpiera le sue ciabatte, quelle che fino a poco prima erano sotto i
suoi piedi.
Le stringo contro il mio viso, leccando disperatamente
ove poggiano le sue dita, il tallone e la pianta, ricercando quel
sudore che deve essersi depositato tra ieri ed oggi, poiché questo
rito è quotidiano.
Il mio stomaco si apre solo ora e sento
crescere un languore che per me
è diventato insaziabile: la fame
del mio signore.
Un desiderio che è interno alle mie carni, che
si fa strada in me e che ha necessità di nutrirsi di ciò che è il
cibo di uno schiavo.
Confesso che questo alimento, indispensabile
alla mia sopravvivenza, non è altro che il sudiciume che il mio
signore calpesta sotto le suole delle sue scarpe.
Un cibo che non
è alimento per nessuna specie vivente, ma lo è per me, che vivo e
spero di poterne sempre reperire a sufficienza per il mio
sostentamento.
Ecco perché ogni altra leccornia, ha perso
qualsiasi interesse al mio palato, in confronto a ciò che posso
trovare sotto le suole del mio padrone.
Mi rendo conto che questa
affermazione sia sconvolgente e allucinante, ma tra un buon piatto di
pasta e il sudiciume calpestato dal mio signore, non avrei nessun
dubbio su cosa prediligere per il mio stomaco.
E credo che il mio
signore sia consapevole di questa mia unica esigenza vitale.
A
volte infatti al suo rientro, il mio padrone, guardando le sue
scarpe, magari infangate o polverose, mi dice:”questa sera,
schiavo, c'è parecchio cibo per te!”
E se la ride, forse
immaginandomi con la bocca piena di quella melma che insozza le sue
suole.
Ma io in quel momento invece già pregusto il mio pasto,
che se è una punizione nella mente del mio re, è invece per il mio
corpo la massima aspirazione.
Lascia le sue scarpe sporche ovunque
mentre io stesso lo aiuto a indossare le ciabatte da casa o altre
calzature laddove debba uscire nuovamente.
Oppure, quando mi
consegna la sacca da calcio, per prima cosa ricerco sono le sue
scarpette coi tacchetti.
Ed ogni volta, con mia grande letizia, le
trovo avvolte da uno strato di fango e terra che certamente non andrà
perduta inutilmente.
Ma sarà la mia cena, il mio pasto di
schiavo, il mio premio, oppure nella testa del mio signore, la mia
ennesima umiliazione.
Ma al momento ho per le mani le sue
ciabatte, nulla di più.
Così mi devo accontentare di una magra
colazione, leccandone le suole, ove solamente un po' di polvere e
qualche sassolino mi daranno la forza oggi per restare in piedi.
Ma
di colpo, la porta alle mie spalle, spalancata con voluta violenza,
mi schianta contro il mobile della scarpiera, spalmando il mio viso
contro le ciabatte del mio padrone.
È lui dietro di me e con tono
seccato mi dice:”schiavo, ecco dove ti eri cacciato!”
“Dovevo
immaginarmelo!”
Ed io:”padrone, ma come mai a casa oggi?”
Lui
perentorio:”ho preso un giorno di ferie, e oggi intendo fare spese,
mi è proprio venuta voglia di comprare un nuovo paio di scarpe.”
E
lo dice con lo stesso tono di quando, con i suoi amici, parla di
mollare una ragazza per una, a suo dire più “fica”.
Per il
mio padrone, tutto ha il medesimo peso, all'infuori di se stesso
ovviamente.
Una persona, un oggetto, un essere vivente, un sasso,
tutto è uguale nella sua mente e ovviamente non vale nulla.
Ed io
dove mi colloco in questa scala di valori?
Logicamente all'ultimo
posto, sotto le suole delle sue scarpe.
Dopo il sudiciume di cui
mi nutro.
“Schiavo!” richiamando la mia attenzione:”oggi
andiamo in centro da Gianni, ha un negozio di calzature che ti farà
impazzire.”
“E tu sarai il mio valletto personale
nell'aiutarmi a scegliere un nuovo paio di scarpe degno del tuo
padrone.”
“Signore”, balbetto,”non so come
ringraziarla.”
E lui sorridendo:”sono certo, schiavo, che
troverai il modo!”
...
Arriviamo
in centro nel pomeriggio e subito il mio signore bellissimo si dirige
verso il negozio di “Borghetti”, la boutique di scarpe più in
vista della città.
Non vuole perdere tempo il mio padrone,
oppure, più realisticamente, non gradisce farsi vedere in giro con
un essere inferiore quale io sono.
E come biasimarlo...
Lo
osservo dalla mia piccolezza e mi domando perché abbia voluto
portarmi con se.
Lui è così bello, forte, sicuro e possente,
mentre io, ecco... lasciamo perdere...
Entriamo nel negozio e
subito osservo venire incontro al mio padrone il proprietario che,
con un saluto caloroso e una stretta di mano lo accoglie
dicendo:”finalmente posso rivedere il mio miglior cliente.”
E
il mio signore:”Gianni, sei sempre il solito adulatore. Non
cambierai mai, anche se forse è vero, ho talmente tante scarpe tue
che potrei farti concorrenza!”
“Ma d'altronde il tuo è il
miglior negozio della città e per i miei piedi, voglio solo il
meglio!”
Entrambi ridono di gusto.
Poi il proprietario mi
squadra dall'alto in basso con fare schifato, come a chiedersi: ma
cosa è questa cosa?
Il mio padrone intuisce il suo disgusto e lo
rassicura:”Gianni porta pazienza, è solo il mio schiavo personale
non farci caso.”
“Non vale nulla, anche se questa volta, mi
piacerebbe che fosse lui a servirmi.”
“Dagli uno dei tuoi
grembiuli neri e qualche dritta su cosa deve fare.”
Io intanto
sono con la testa tra le nuvole.
Il negozio è davvero una
meravigliosa raccolta dei capi più belli di calzature maschili
d'alta moda.
Church's shoes, Louis vuitton, Cesare Paciotti,
Alessandro Dell'acqua, Tod's, Gucci, Prada.
Insomma tutto ciò che
ho sempre sognato e non ho mai potuto vedere tanto da vicino.
Il
negozio dei balocchi per uno schiavo che non ha neppure il senso di
esistere.
Scarpe che non avrò mai il diritto di indossare, sono
un servo, ma che desidererei almeno poter lucidare con la mia lingua,
una volta nella vita.
In questo momento sono grato con tutte le
mie fibre al mio signore.
Anche questa esperienza meravigliosa è
merito suo e ne sto godendo grazie alla sua generosità.
Mentre il
mio padrone sceglie con Gianni i modelli da provare, sedendosi poi ad
attendere, sprofondando in una poltrona di cuoio anticato, il
proprietario mi prende per la collottola, quasi fissi un cane, e mi
trascina sul retro del negozio.
Mi dice severo:”faccio questo
solo perché sono molto amico del tuo proprietario!”
“Sappi
che tu e quelli come te mi fanno ribrezzo e per conto mio ti
schiaccerei come uno scarafaggio sotto le suole delle mie scarpe!”
Io
remissivo:”comprendo signore! Le chiedo perdono per ciò che
sono!”
Lui:”taci merda! Prendi questo grembiule e legatelo in
vita.”
“Poi porta questa pila di scatole al tuo
padrone.”
“Sono i modelli che ha scelto.”
“Inginocchiati
ai suoi piedi e aspetta!”
Ubbidisco e raggiungo il padrone.
Lui
ironico mi osserva:”schiavo, ma come sei bellino vestito da
calzolaio.”
“Non trovi Gianni?”
Non arriva risposta, ma
solo un segno di assenso col capo.
Nel frattempo inizio ad aprire
le confezioni ed a mostrare i modelli al mio padrone, che ovviamente
li vuole calzare subito: è impaziente.
Lui si alza in piedi sopra
di me che, come uno straccio, cerco di aiutarlo.
E consumo mani e
ginocchia gattonando attorno a lui per cambiare i modelli,
infilandoli e sfilandoli dai suoi piedi meravigliosi.
Nel
frattempo entrano in negozio altri clienti, una giovane coppia e il
proprietario ci lascia per andare da loro.
Ormai padroneggio
abbastanza bene la materia.
Il mio signore è bellissimo ed ogni
calzature gli dona alla perfezione.
Impossibile non
apprezzarlo.
Io poi ne sono estasiato e lo ammiro.
Lui è ben
consapevole di tutto questo e gioca con la mia miserevole vita,
qualche volta calpestando le mie dita, altre volte con piccoli calci,
oppure avvicinando le scarpe al mio viso per vedere se si intonano
col colore della mia pelle, visto che spesso dovrò fare da
poggiapiedi.
Il mio padrone diventa sempre più perentorio e mi
umilia pesantemente arrivando a calpestare il mio corpo per provare
la bontà delle scarpe, camminando sulla mia schiena.
Tutto ciò
davanti al proprietario, alla giovane coppia di clienti ed alcuni
passanti che osservano la scena dalla vetrina con morbosa
curiosità.
Il mio padrone è sicuro di sé, non si vergogna di
usarmi come una pezza da piedi, anche perché è ciò che sono.
Io
intanto ho perso il senso del pudore e lascio che il mio signore
faccia di me ciò che desidera.
Lo amo e sono disposto a tutto per
lui e per farlo felice.
La mia schiena è a pezzi, ma non rinuncio
ad essere calpestato e umiliato a terra.
Fino a quando il mio
padrone si sofferma, seduto in poltrona, ad osservare meglio un paio
sneaker di Yves Saint Laurent con borchie e fibbie.
Io sono a
terra davanti a lui, come una pelle di vacca, col viso a pochi
centimetri dai suoi piedi.
E attendo.
Mi comanda:”schiavo,
fammele riprovare!”
Per aiutarlo non mi risparmio di certo e
lascio che le punti contro la mia bocca per poterle indossare
comodamente.
Poi ancora una passeggiata sulla mia schiena per
concludere l'acquisto.
“Gianni”, esordisce,”anche questa
volta le tue scarpe sono davvero inimitabili.”
“E questa volta
non ti ho fatto neppure lavorare!”
Senza bisogno di nessuno
comando, intanto rimetto in ordine le altre scarpe sparse attorno,
restando sempre in ginocchio.
Il proprietario intanto parla con la
giovane coppia di clienti, ma dopo poco li sento dire:”vorremmo
anche noi essere serviti dal suo garzone.”
Il mio padrone e il
proprietario all'unisono:”e perché no!?”
Così entrambi ora
si godono la scena, mentre il ragazzo, un gran pezzo
d'uomo,sicuramente giocatore di rugby, si siede in poltrona al posto
di comando.
La sua ragazza cinguetta sul bracciolo, mentre lui già
mi preme le sue sneakers sudice contro la bocca perché io gliele
tolga.
Tutti si godono la scena piacevolmente eccitati da questa
perversione inattesa.
Io ormai sono come un tappetino sotto i
piedi enormi del ragazzo che, per divertire la sua compagna e farsi
ancora più maschio, mi sta facendo letteralmente a pezzi.
Ma
anche questo è il destino di uno schiavo.
Il mio padrone e il
proprietario, dal bancone, se la ridono di gusto, mentre tra
loro:”sai, forse dovresti mandarmelo in negozio una volta ogni
tanto.”
“Penso che incrementerei parecchio le vendite!”
E
il mio padrone:”si, hai ragione Gianni, vedo che il mio schiavo ci
sa fare con i clienti.”
Schiavo
Luca